Vita in canile, rispondiamo ad Elisabetta


In foto OIiver, appena recuperato dal canile di Quartu, cerca famiglia.

Ciao Elisabetta, capisco bene le tue preoccupazioni. Nel tuo post affronti molti argomenti che mi stanno a cuore. Il primo è l’accoglienza di un cane senza famiglia, un tema che, da diversi anni, mi ha profondamente coinvolto. Come saprai, io e la mia compagna ce ne occupiamo praticamente a tempo pieno. Il secondo riguarda la gestione di queste anime, mentre il terzo è legato alla malattia e alla sua gestione in canile.

Partiamo da quello che ti sta più a cuore: se la vaccinazione possa aver influito negativamente sulla leishmaniosi nel caso il cane fosse malato. Premetto che, se un cane entra in canile, è doveroso vaccinarlo anche in corso di infezione, poiché malattie come il cimurro sono molto diffuse in questi ambienti, e il rischio di contrarle supera quello di sovraccaricare il sistema immunitario. Questo è particolarmente vero considerando che la leishmaniosi, una volta che il cane trovasse una famiglia, è recuperabile quasi al 100%. Per il cimurro, invece, i danni permanenti e la morte dovuti all’infezione sono purtroppo la prassi. Quindi, meglio procedere con il vaccino.

Dal punto di vista pratico, evitiamo di vaccinare i cani che hanno appena raggiunto la negatività midollare, poiché si trovano ancora in una fase delicata in cui l’organismo deve provvedere ad allineare eventuali parassiti residui non rilevabili. In questa situazione, è meglio lasciare il sistema immunitario libero di agire. Per i pazienti infetti, invece, valutiamo il rapporto rischio-beneficio: per un cane che vive esclusivamente in casa e ha completato il core vaccinale di base (anche se da più di un anno), si può evitare il vaccino. Per un cane che deve entrare in canile, però, il vaccino è fondamentale.

Per quanto riguarda invece la vita in canile, emergono diverse considerazioni etiche e sociali, come: il cane viveva da anni in paese o era stato appena abbandonato? Era un cane ben socializzato o creava problemi nella comunità?

Nel caso di un cane sociale, abituato e ben accettato dalla comunità, la reclusione in canile “sine causa” è, a mio avviso, una violenza enorme. Immagina un cane il cui branco è il suo paese: conosce dove andare, dove mangiare, dove bere; conosce il panettiere, il fornaio, il macellaio e fa parte della comunità. Ritrovarsi in canile, per lui, è devastante. Meglio la morte, allora. Nel nostro paese c’era un cane che aspettava i bambini all’uscita della scuola: amava vederli correre e giocare.

Se, invece, si tratta di un cane non abituato o talvolta aggressivo, allora il canile, pur essendo un luogo terribile, diventa una salvaguardia sia per lui che per la comunità. Va fatto tutto il possibile per farlo uscire dal canile, ma questo dovrebbe valere per tutti i cani ospitati. Lo meritano tutti.

Io e la mia compagna, nel nostro piccolo, ci rechiamo nei canili per prendere 4 o 5 cani alla volta e farli adottare. Non è molto, solo una goccia, ma il mare è fatto di tante gocce.

Per quanto riguarda l’assistenza che il canile fornisce a questi animali, è molto basilare: cibo, vaccini, antiparassitari, e solo in caso di situazioni gravi, interventi veterinari. Difficilmente penso che si occuperanno della sua malattia o delle sue eventuali patologie. La cosa migliore sarebbe unirsi in più persone, creare un team mediatico sui social, portare il caso all’attenzione di figure influenti, come Maria De Filippi, che si spende molto per queste anime, e trovargli una famiglia. Da lì, tutto diventa tutto in discesa. Il mio motto è:
“Pensa globalmente, agisci localmente!”

Dott. Gianluca Barbato
Medico Veterinario
Specializzato in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione
Consulente Scientifico per la
Training Center LLC.


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